Maurilio Barozzi
Pejo per il Carneade Monier
28 maggio 2010
TERME DI PEJO – Ci aveva provato Alex Bertolini a rendere interessante la tappa «trentina» di questo Giro d'Italia. E' partito in fuga al km 12 assieme ad altri undici corridori, ma non c'è stato niente da fare. E così sul traguardo è arrivato un francesino della Cofidis che in sei anni da professionista non aveva mai vinto: Monier Damien, nato a Ferrand nel 1982. Una manna, per lui. Un po' meno per tutti i tifosi assiepati alle Terme di Pejo. Quelli – i tifosi – erano saliti per assistere alla lotta Basso-Evans-Arroyo e, casomai, Scarponi. Oppure per veder vincere un corridore di casa: Bertolini, appunto. O magari Simoni. Invece niente. Primo Monier, secondo Hondo, terzo Kruijswijk. E i migliori indietro di quasi dieci minuti.
Quando il gruppo maglia rosa è arrivato, il pubblico ha potuto godere soltanto dello scatto di Scarponi. Che però ha guadagnato solo un secondo (uno!) su Arroyo, Basso, Evans e compagnia. Vabbé.
Tornando alla corsa, pochi chilometri dopo che il gruppetto con Bertolini è stato raggiunto, ne è partito un altro. Stavolta erano diciannove, tutti molto indietro in classifica. E a quel punto dietro nessuno si è rimesso a correre davvero. Così il vantaggio è andato via via aumentando. Una volta valicato il passo delle Palade e scesi in valle di Non, da Cloz i fuggitivi hanno avuto anche il vento a favore e così si è capito con certezza che – ancora una volta in questo pazzo pazzo Giro – sarebbero arrivati fino in fondo. Nel gruppo nessuno aveva reale interesse a raggiungerli. Non ne aveva la Liquigas di Basso, che magari, aumentando il ritmo, avrebbe portato al traguardo nel gruppetto dei primi anche Evans, col rischio che l'australiano vincesse la tappa e guadagnasse gli abbuoni. Non ne aveva la Caisse d'Epargne, la squadra della maglia rosa Arroyo, alla quale bastava controllare i diretti inseguitori. Ne aveva forse qualche uno la Lampre, che poteva portare Cunego ad un arrivo a lui congeniale, ma in fuga, nei diciannove, c'era il «loro» Hondo. Tanto bastava per procedere a ritmo cicloturistico, anche per riprendere fiato dopo le durissime tappe dello Zoncolan, di Plan de Corones e, soprattutto, anche in vista delle prossime. Et voilà: dal cilindro non poteva che uscire una tappa cotta a puntino per un Carneade. Il più dispiaciuto di tutti, naturalmente, è stato Bertolini: «Ho provato ad entrare nella prima fuga, ma poi, quando la Lampre ci ha ripresi, pensavo che la tappa sarebbe stata chiusa. Peccato».
Già, peccato.
Nel finale la fuga dei 19 è stata rotta prima da un tentativo sterile di Ignatiev e poi, a circa quindici km dall'arrivo, dal trio Monier, Hondo, Kruijswijk. Questi sono riusciti ad ottenere una ventina di secondi dal gruppo e poi ad imboccare la salita di Pejo con circa mezzo minuto. Tanto è bastato. A tre chilometri dall'arrivo, approfittando dell'aumento di pendenza, Monier è scattato e per gli altri due è stata notte fonda. Con una pedalata sgraziata ma potente ha cominciato a veder realizzato il sogno della sua vita: vincere una corsa dopo che in sei anni di professionismo non c'era mai riuscito. Contento lui. Meno il pubblico. Ma questo è un problema che, giustamente, non lo riguarda. Nove minuti e cinquanta secondi dopo il gruppo della maglia rosa arriva, tirato su a rotta di collo da Nibali che, spiegherà poi, voleva «impedire che Evans attaccasse, e magari lanciare uno sprint a Basso». Quando ai cinquanta metri si è spostato, ne ha invece approfittato Scarponi, che ha fatto «vuotino» di un secondo. Per il resto, tutto è rimasto invariato.
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