Maurilio Barozzi
2013. Nibali spunta dalla neve
26 maggio 2013
TRE CIME DI LAVAREDO (Auronzo di Cadore) – Tra neve, pioggia, nuvole e vento, alle Tre Cime di Lavaredo spunta la sagoma rosea di Vincenzo Nibali. Nel freddo che infradicia le ossa, a oltre duemila metri di quota e con la temperatura che non arriva allo zero, non è servita nemmeno la presenza del ministro dello sport colombiano Andres Botero per far sì che i suoi connazionali tenessero la ruota del vincitore. Sono andati bene, d’accordo. Secondo terzo e quarto, rispettivamente: Fabio Duarte, Rigoberto Uran, Carlos Betancur. Uran scavalca così Cadel Evans al secondo posto in classifica generale; Betancur riprende la maglia bianca di miglior giovane al polacco Rafal Majka. Ma per parlare di battaglia agonistica bisogna parlare di posizioni di rincalzo e di maglie dai colori secondari. La prima maglia, quella rosa, è da giorni di Nibali. Che ieri, negli ultimi tre chilometri della salita, durissimi, ripidissimi, freddissimi, ha voluto anche dare un’altra zampata, dopo aver vinto la cronoscalata che da Mori alla Polsa ha decretato la sua leadership. E trionfare alle Tre cime di Lavaredo, simbolo e cuore delle Dolomiti, sotto la neve, con la maglia rosa è vanto eccezionale. «Volevo vincere a tutti i costi – ha detto Nibali ancora intirizzito dal freddo dopo aver tagliato il traguardo –. Volevo lasciare un segno che rispondesse alle bruttissime notizie che sono emerse venerdì». Cioè il doping di Danilo Di Luca.
Tutto è cominciato con la solita fuga di giornata: quattro cuor di leone – Yaroslav Popovyc, Giairo Ermeti, Pavel Brutt e Adam Hansen – che al chilometro 30 sono partiti. Ma non sono arrivati. L’ultimo ad essere risucchiato dal gruppo è stato Brutt, a 8,5 km dalla fine. Dunque, dopo gli attacchi più o meno convinti di Eros Capecchi, Darwin Atapuma, Gianluca Brambilla e Pieter Weening, l’azione secca e decisiva di Nibali.
E così da questa giornata, da questa tappa che per il maltempo è stata ridisegnata, togliendo i passi Costalunga, San Pellegrino e Giau, ma che tutti hanno definito epica, sono uscite due parole chiare.
La prima è forza. Quella omerica di Nibali. Primordiale. La forza che avevamo già avuto modo di saggiare un mesetto fa alla salita di Sega di Ala che gli ha consegnato il Giro del Trentino. Poi anche giovedì, su un terreno che non era propriamente il suo – una prova contro il tempo –. Ha dominato la Mori-Polsa salendo a circa 28 km/h di media. Ieri ha ribadito la sua forma, la sua voglia di vincere. Ed ha vinto. Tappa e Giro. Oggi per lui ci sarà solo da arrivare a Brescia a incassare l’alloro.
La seconda parola che ha detto la giornata di ieri è radiazione. L’hanno pronunciata in tanti, parlando di Di Luca, cacciato dal Giro d’Italia per doping. Il recidivo. E nell’ambiente si comincia a fare i conti con l’ipocrisia che fino a ieri impediva di usare parole chiare. Radiazione hanno detto i cronisti, i commentatori e pure diversi corridori. Il giovane polacco Majka, maglia bianca appena persa per pochi secondi da Betancur, ha chiuso ogni spiraglio: «Oggi il ciclismo è pulito, e così chi è dopato non dovrebbe più tornare al ciclismo. Non è giusto dare seconde possibilità». Dire questo quassù ha un doppio significato. Primo per la storia che trabocca da queste tre punte ora imbiancate. Secondo perché nel 2007 questa tappa era stata marchiata a fuoco dalla prestazione di atleti alquanto controversi. A cominciare dal vincitore, Riccardo Riccò, di cui sappiamo come ha costruito e maltrattato la sua carriera. Eddy Mazzoleni, che salì davvero fortissimo, ma che anni dopo anche lui fu inguaiato da storie di doping. Poi lo stesso Di Luca, che all’epoca ci era arrivato in maglia rosa mentre stavolta non lo hanno nemmeno fatto partire. «Come uomo qualcuno dovrebbe aiutarlo psicologicamente perché evidentemente ha dei problemi», ammorbidisce i toni Silvio Martinello, ex ciclista e oggi autorevole commentatore televisivo della Rai. Già, se un ciclista non sa fare con le proprie forze ciò per cui è pagato, forse sarebbe meglio che qualcuno lo aiuti a scoprire il perché. Ma se fai parte di un mondo che ti considera solo per ciò che vinci, se fai parte di un ambiente in cui lo sponsor principale impone un corridore ad una squadra (come Di Luca alla Fantini Vini, stando a ciò che ha detto il direttore sportivo Luca Scinto), se sei stritolato dalla catena di montaggio dell’universo del divertimento che pretende medie alte, salite difficili, attacchi continui, allora suona ipocrita l’indignazione schifata. Tipo quella – quasi inaudita, pronunciata da lui – che ha spinto venerdì Lance Armstrong a giudicare Di Luca «un idiota». E, visto che siamo in tema, e a proposito di signori della truffa, speriamo, un domani, di non dover rivedere le classifiche che stiamo raccontando. Sarebbe davvero deludente.
maurilio barozzi
in l’Adige 26 maggio 2013
L’ARTICOLO
Pubblicato a pagina 50 con il titolo “La maglia rosa di Nibali nella tormenta della neve” e l’indicazione “dall’inviato Maurilio Barozzi” sul quotidiano l’Adige di domenica 26 maggio 2013