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BRASILE |
I LIBRI di M.B. |
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SALVADOR
DE BAHIA
La musica del mondo arriva dal
Brasile
Dai Tropicalistas ai giorni nostri, suoni
di svago e di denuncia Maurilio
Barozzi
E così: non mi pare un
caso che l’altra sera proprio quel teatro, gremito, abbia ospitato un
concerto di quattro tra maggiori rappresentanti della bossa nova: Wanda Sá,
Menescal, Marcos Valle e Carlinhos Lyra. Oddio, di negri a teatro ne ho visti
ben pochi, segno che la battaglia di Alves non è ancora vinta, dopo quasi
centoquaranta anni. Ma insomma… Ci si prova. L’occasione del concerto
è stata il centenario della nascita di Radames Gnattali, che può essere
considerato uno dei padri della bossa, avendo avuto come partner musicale
Jorge Jobin e come ammiratore e discepolo suo figlio Tom (Jobin), che poi –
come talvolta accade – superò il maestro. Gnattali, tra parentesi, è figlio
di Alessandro Gnattali, emigrante italiano, e della musicista Adelia Fossati.
Così, volendo buttar lì con nonchalance un pizzico di orgoglio
nazionalista, si potrebbe dire che qualche goccia di sangue italiano
l’abbiamo versata anche nella bossa. Ma, partendo da quel concerto, è
precisamente il contrario che volevo raccontare, e cioè come non abbia senso
rivendicare tali paternità. E allora. Ascoltare un concerto di
bossa è strano. Chiudi gli occhi e senti una samba che ogni tanto vira secco
su note rapide. Oppure, a seconda della predisposizione, odi un concerto jazz
che a sprazzi spande sensualità. Questi quattro signori, che cantano da dio
(dico davvero), eseguivano ogni canzone alla loro maniera: anche quando
davano anima a melodie note, le facevano apparire leggermente differenti. Non
so come spiegare: è più o meno come quando vedi uno che ha sempre avuto i
baffi e d’un tratto lo vedi senza. Noti subito che c’è qualche cosa di
diverso, ma non capisci cosa. Allora lo squadri, ti concentri, lo ripensi
finché dici: diavolo, i baffi! Lì, l’altra sera, uguale. Dalle prime note, la
canzone “So danço samba”, sembrava normale. Poi hanno iniziato a
cantare mischiando inglese e portoghese, mentre di solito, quel pezzo l’ho
sempre sentito in portoghese. Ahrridaje, mi sono detto, hanno proprio
una fissa, i brasiliani, per frullare tutto. Ecco, si potrebbe
considerare un loro tratto distintivo. In questo, sono maestri. E influenzano anche noi,
in Italia. Che dire di programmi televisivi come “Blob”? Oppure, per restare
nel campo della musica, pensiamo a quella campionata da discoteca o la dance
ritmica che uniscono e sovrappongono generi diversi e che stanno sostituendo
il nostro patrimonio musicale classico, fatto essenzialmente di arie.
Sembrano innovazioni enormi; di fatto lo sono. Ma radici di tali processi
intellettuali si possono trovare qui in Brasile. Per dire: il samba canção
mischia il bolero spagnolo con la musica africana, la bossa nova unisce jazz
americano e samba. Essenza di globalizzazione musicale, no? E a dargli una
spinta forte, quasi quarant’anni fa, furono proprio musicisti bahiani come
Caetano Veloso, Gilberto Gil (oggi ministro della cultura brasiliano) che
fondarono il movimento dei Tropicalistas. A loro volta si ispirarono
alle parole del poeta Oswald de Andrade che nella prima metà del Novecento
scrisse le tavole sacre del movimento cannibale (estetica antropofagica
brasiliana): «Artisti, prendete e divorate arte e informazione stranieri,
giornali nazionali, letteratura; poi rigurgitate tutto in una nuova forma». I Tropicalistas
fecero tutto ciò con la musica. Qui a Bahia, nonostante
tutti ballino sulla sabbia delle spiagge i loro tipici axé, forró o
pagode, santificando a star di prima grandezza cantanti come Ivete
Sangalo, Daniela Mercuri o i Chiclete com Banana, non c’è uno che non conosca
le canzoni impegnate dei Tropicalistas (che, verso la fine degli anni
Sessanta, furono cacciati in esilio perché – anarchici e libertari – erano
indesiderati dal regime militare andato al potere in Brasile alla fine del
1968). Per dire. Tempo fa, una
ragazza mulatta mi passò un biglietto. La grafia era incerta come se quasi
non sapesse scrivere, c’era scritto: «Debaixo dos caracóis dos seus
cabelos uma historia pra contar de un mundo tão distante» (sotto ai
boccoli dei tuoi capelli, c’è una storia da raccontare di un mondo tanto
distante). Si riferiva alla mia origine europea e ai capelli lunghi. Bella
frase. Però non è sua: sono i versi di una canzone di Veloso. E si rifanno
proprio al senso dell’allontanamento, del viaggiare per divorare e tornare
poi con nuovi bocconi da masticare e rigurgitare, in forma di musica. Ha spiegato Gilberto Gil
in un recente articolo: «Nel tropicalismo noi appartenevamo al mondo e il
mondo ci apparteneva, facevamo parte di tutto e eravamo in tutte le parti.
Questa coscienza ci portò a creare una nuova musica che fu allo stesso tempo
la musica più antica. Scoprimmo le tradizioni, rendemmo omaggio ai nostri
vecchi maestri, celebrammo la nuova rivelazione della bossa nova e ci
lasciammo scuotere dal furore del rock». Sembra un paradosso, e
forse lo è, ma secondo tale idea è proprio l’incontro/scontro tra culture e
musica diverse che si traduce in un momento dinamico di avanzamento. Ogni
elemento trova linfa vitale - carne - nell’altro, anche nel suo nemico. Provo a spigami meglio. Le musiche locali (come
il reggae di Bob Marley o il tribalismo bahiano degli Olodum, o le note di
Veloso e Gil) denunciano l’establishment politico e economico. Nello stesso
tempo hanno però bisogno dell’industria musicale per raggiungere le masse;
l’industria musicale a sua volta necessita di novità musicali (anche se
critiche nei propri confronti) per alimentarsi e guadagnare. È il gatto che
si mangia la coda.
Uhm, scorreva via quella bossa. Ma ascoltando non faceva
che balenare questa idea di approcci, linguaggi, messaggi, culture che si
mescolano fin quasi confondersi: vittime e carnefici, Davide e Golia, Cristo
e la croce. In queste musiche c’è il senso della sconfitta che riempie il
jazz del Mississippi, la sensualità brasiliana del samba, gocce di sangue
italiano, la capacità tecnica e l’esperienza di un musicista colto come
Gnattali che arrivava dalla classica. È un musica che parla al professionista
colto e al ladro da spiaggia. Verrebbe da dire: questa è la vera musica del
mondo. Ammesso che abbia senso dirlo. Scrivi
all’autore: mauriliobar@libero.it |
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