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BRASILE |
I LIBRI di M.B. |
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SALVADOR
DE BAHIA
Il Brasile verso le elezioni
Corruzione, analfabetismo e violenza: i
problemi di sempre Maurilio
Barozzi
La
parola che ricorre maggiormente, per tale scandalo brasiliano, è mensalão,
che significa grosso modo mensilità ma che in questa accezione sta a indicare
il denaro che alcuni uomini di Lula (Partito dei lavoratori) avrebbero
intascato mensilmente. E, secondo le
investigazioni, molto di tutto ciò farebbe perno sul signor Duda Mendoza,
l’uomo immagine di Lula, un esperto di marketing politico tanto spregiudicato
da essersi arricchito con mazzette ricevute dai politici (ha già confessato
di aver incassato una cospicua tangente dall’impresario Marco Valerio, nel
2003). Lula, naturalmente, dice di non saperne niente. E, per la verità, i
sondaggi per le prossime elezioni presidenziali che si svolgeranno a
primavera (in Italia sarà autunno) lo vedono ancora in netto vantaggio su
tutti gli avversari. Triste consolazione: anche questo scandalo non fa che
confermare un luogo comune che i brasiliani hanno sempre stampato sulla
bocca: i politici sono tutti ladri. «Il Brasile non fa guerre». Ecco un altro slogan
che, in giro per Bahia, non cessa di risuonare. Unito a quello che pure il
contingente dislocato ad Haiti in missione di pace, dovrebbe fare fagotto e
tornare qui: «Se abbiamo tutte queste forze militari, le usino per portare un
po’ di legalità nelle favelas (i quartieri poveri), anziché disperderlo in
giro per il mondo», dice un tipo davanti all’edicola, a commento di un
servizio intitolato “Haiti, il nostro Irak”. Già, parlano spesso di politica, i brasiliani. Se la mattina cammini lungo il mare, tra gente che
gioca a calcio – venticinque chilometri di spiaggia, un campo da calcio dietro
l'altro – e quelli che giocano a domino, c'è sempre qualcuno col giornale
aperto sotto gli occhi che discute. Il mio analista preferito è un venditore
di acqua di cocco (e di giornali), che ogni mattina, mentre mi consegna A
Tarde (il principale quotidiano dello stato bahiano), mi consiglia la
notizia del giorno. E poi la commenta, dicendo la sua in modo colorito. Spesso,
nelle giornate piovose, i brasiliani - solo uomini - si appartano dietro le cabanas
da praia e fanno delle grigliate di carne. Mangiano churrasco (carne
alla griglia, appunto), bevono birra e cachaça (una specie di
acquavite i canna da zucchero), parlano di politica. Una volta la mattina
intera è stata investita per discutere se fosse migliore il quotidiano A
Tarde oppure il Correio da Bahia (l’altro giornale dello stato
nordestino). E tutto si incentrava sul giudizio che ognuno dava rispetto la
vicinanza o l’avversità nei confronti del potere politico in carica. Ma le
opinioni non erano univoche. E alla fine ognuno si è tenuto la sua. Come si
diceva, invece, molti sono concordi sul fatto che i politici siano tutti –
indistintamente – dei lestofanti in doppiopetto, corrotti e prezzolati. E
tutti pronti a tirare acqua al proprio mulino. L’altro giorno, in mezzo al
traffico che porta nei pressi di Iguatemi, il taxista – imbottigliato - si è incazzato. E mi ha detto della
metropolitana. Dice che c’era già un progetto e tutto era pronto per l’inizio
dei lavori della ferrovia sotteranea ma il presidente Lula ha bloccato i
finanziamenti perché alle ultime elezioni ha vinto un sindaco che non è di
suo gradimento. Faccio presente al taxista che se ci fosse la metropolitana,
anche i suoi affari calerebbero. Lui mi dice che non è così, che di lavoro ne
ha anche troppo. In
genere, esclusi gli ambienti più acculturati, non sono visti bene neppure i Sem
terra, gli attivisti che reclamano la possibilità di avere degli
appezzamenti da coltivare contro il latifondo. I giornali ne analizzano le
contraddizioni. Addirittura il settimanale Veja tempo fa ha fatto
un’inchiesta in cui sostiene che mai, nella sua storia, il movimento
ricevette tanto denaro come con questo governo, ma si sospetta che tale
denaro ora venga usato per finanziare nuove invasioni di terreni. “Noi
paghiamo, loro invadono”, era il titolo. E qualcuno prende alla lettera:
«Anziché invadere terreni, vengano qui, alla spiaggia, che di lavoro se ne
trova sempre», dice uno dei ragazzi che fanno i camerieri nei bar sul mare, a
Piatã. Gli altri ridono e annuiscono. Anche se poi, a loro volta, si
comportano in modo anomalo, visto con occhi da europei. Pagati a percentuale,
i garçom se un giorno guadagnano bene la sera si ubriacano e il giorno
seguente non si presentano al lavoro. Funziona così. Eccezion
fatta per il giornale, comunque, qui si legge poco. Le
statistiche dicono che un bahiano su quattro non sappia leggere: molto peggio
del già poco edificante tasso medio nazionale: il 12,9%. Per capirci,
potremmo aggiungere anche di quell'articolo pubblicato sulla rivista Discutindo
Literatura che fa notare come una ricerca mirata a valutare il livello di
comprensione di ciò che si legge, relega il Brasile all'ultimo posto «dietro
perfino ai paesini miserabili e sperduti nella mappa del mondo». Che
l'ignoranza fosse spaventosa, qui, fu la prima impressione che mi feci, anni
fa, appena giunto in Brasile. Ora, la
penso uguale (con l'empirico sostegno delle cifre). Ma ho anche capito che ci
sono delle giustificazioni inconfutabili a questo stato di cose. Oltre alla
miseria che spinge i giovani a cercare qualche cosa da fare per racimolare
qualche soldo, anziché studiare, va detto che i libri costano molto, in
relazione a tutto il resto. Per dire. Un giornalino di Tex – d’accordo
edizione storica di 356 pagine, ma in brossura e tutto in bianco e nero –
costa 14,90 reais (quanto mangiare carne tutta la sera, fino a non poterne
più in una discreta churrascheria!). La guida “Bahia de todos os
santos” (altra brossura) di Jorge Amado si paga 50 reais (quasi 20 euro,
quando tutto il resto costa circa un terzo rispetto all’Italia). In un
piccolo ristorante del Pelourinho (il centro storico di Salvador), scambio
impressioni con due giovani stilisti bahiani: Jeorge e Jeanne. Mangiamo bobô
de camarão, una specie di polenta con i gamberoni; beviamo birra gelata.
Loro mi raccontano dei problemi che affrontano per trovare un nuovo atelier.
Poi strambo il fuoco del discorso sull'analfabetismo di Bahia. Loro si dicono
d'accordo con la mia tesi (molta ignoranza, ma molte attenuanti) e a tal
proposito mi segnalano un vecchio servizio pubblicato su una rivista
brasiliana, Aol. Si tratta di un'intervista all'analista politico
Gustavo Ioschpe che critica pesantemente l'educazione culturale brasiliana.
Il giorno dopo vado a leggerlo in biblioteca. Titolo: “Perché il Brasile è
diventato un paese di ignoranti. E come uscire da tale situazione”.
Leggo. Nell’intervista si critica l’educazione impartita in Brasile e Inevitabile,
penso, se si vuole correre
ai ripari. Al contrario, funziona bene
internet. Secondo una ricerca, nel giugno del 2005 hanno navigato in internet
11,55 milioni di brasiliani su 170 milioni complessivi di abitanti. E il dato
più importante è dato dal tempo di connessione medio: con le 16 ore e 54
minuti mensili, il Brasile supera Francia e anche il Giappone, notoriamente
un popolo tecnologico. Anche se, a essere pignoli, negli internet point si
trovano essenzialmente bambini che scaricano giochetti. L'altro problema con cui il
Brasile deve continuare a fare i conti, in vista delle elezioni, è la
violenza. Poco tempo fa il Brasile intero è
stato scosso dalla vicenda occorsa a Silvio Santos, un eccentrico tycoon con
l'hobby dell'apparizione. Ricorda un po' qualcuno in Italia, e non solo per
il nome di battesimo. Con i suoi capelli finti, un microfono a gelato
appoggiato al nodo della cravatta e la brama di presentare il gioco Roda a
roda (un calco perfetto della nostra Ruota della fortuna) sul suo canale
televisivo, il Secondo canale brasiliano,
appare davvero buffo. Beh, nonostante questo suo aspetto, è ricco
sfondato e poco tempo fa ebbe la figlia sequestrata da alcuni banditi e lui
stesso fu tenuto in ostaggio per alcune ore dopo un conflitto a fuoco costato
la vita a due poliziotti. Il rapitore negoziò con la polizia la sua resa pur
di avere salva la vita, ma alcuni giorni dopo è stato assassinato in carcere.
Silvio Santos è tornato al suo Roda a Roda, ma la vicenda è una di quelle
tipiche, qui in Brasile. E infatti le promesse elettorali, sia quelle di Luis
Inácio Lula che quelle di quello che verosimilmente sarà il suo avversario,
il prefetto di São Paulo José Serra (che nel PSDB pare avere definitivamente
superato la rivalità di Geraldo Alckmin), fanno perno sul discorso della
sicurezza. Tanto più che una recentissima ricerca evidenzia come Lula
distacchi nettamente gli avversari tra l'elettorato scolarizzato e quello
benestante. Ma la distanza tra ricchi e
poveri, che continua ad aumentare, fa temere che tali promesse non possano
che rimanere tali. Scrivi
all’autore: mauriliobar@libero.it |
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