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BRASILE |
I LIBRI di M.B. |
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SALVADOR
DE BAHIA
Capoeira, danza di liberazione
Simbolo della cultura afro-brasiliana,
questa disciplina è giunta dall’Africa a bordo di navi negriere, unico
bagaglio nel cuore di chi ha lasciato tutto oltre Atlantico per essere
trasportato in catene a Bahia – città di schiavi, ancora oggi la più nera del
Brasile Maurilio
Barozzi
* * * Scrisse Amado, nella sua celebre guida: «Bahia
è qui, ti sta aspettando. È assieme una festa e un funerale». È vero: tutto
ruota attorno a ossimori che, come accoppiate potenze primordiali -
acqua-fuoco, terra-aria, uomo-donna - rendono la città un magnete
ineluttabile. A questo gioco dei contrari non si sottrae la capoeira,
lotta-danza che non si definisce altrimenti, se non, come fanno qui, un
«universo di arte, ritmo, bellezza e poesia». Anche lei figlia del
contraddittorio che sprigiona energia: una danza e una lotta, appunto. Lode
all'estetica individuale e estatica ricerca di armonia con
l'avversario-partner. Tecnica di salvaguardia dalle vessazioni ma anche
attacco alla miseria. Simbolo della cultura afro-brasiliana, la
capoeira è giunta dall’Africa a bordo di navi negriere, unico bagaglio nel
cuore di chi ha lasciato tutto oltre Atlantico per essere trasportato in
catene a Bahia – città di schiavi, ancora oggi la più nera del Brasile. Si dice che gli schiavi cercassero di
difendersi dalle percosse dei padroni con questa lotta, utilizzando le gambe
perché i polsi erano incatenati. In realtà la capoeira che vediamo oggi a
Bahia è nata all’inizio del Ventesimo secolo, assieme alla prima scuola
fondata da Mestre Bimba. Si parla, a grandi linee, del 1927. Ancora strumento
di difesa, da quel momento – e oggi in particolare – la capoeira è però
assurta a clausola della quale alcuni giovani si avvalgono per rescindere il
loro sciagurato contratto con la miseria. E' un'ancora di salvezza per
bambini che altrimenti non avrebbero alternativa alla strada. Meninos de
rua, sono detti i ragazzotti brasiliani che abitano e vivono le strade.
Sciolti dalle attenzioni dei genitori, impegnati a loro volta nella lotta per
la sopravvivenza con ogni mezzo a disposizione, questi bambini vanno ad
alimentare tragiche statistiche che li vede vivere di elemosine e piccoli
furti. E morire presto. «Nessuno di loro arriverà a quindici anni: o muoiono
di fame, o li ammazza la polizia», scuote il capo il bahiano Pascoal. In un quadro desolato, dove la povertà uccide,
la capoeira salva. Scuole specializzate, accademie, fondazioni: lavorano,
insegnano, infondono stimoli capaci di mitridatizzare il curaro
dell’autocommiserazione. Insinuano la tabe che corrode l'immobilismo da fatalità. * * * Nelle stradine del Pelourinho - sconnessi
acciottolati in pendenza, architetture e colori coloniali, mendicanti
infagottati sui marciapiedi e venditori di qualsiasi cosa - sono diverse le
accademie di capoeira. Al numero 51 di rua Gregorio de Matos c’è la Escola
de Capoeira “Filhos de Bimba”. L’ha fondata il maestro Nenel. Lui è uno che
se vai a Bahia tutti i capoeristi lo conoscono. E' uno che alla capoeira ha
fatto fare il giro del mondo, con esibizioni e conferenze. E' uno che molti
brasiliani vorrebbero imitare. E soprattutto è il figlio di mestre Bimba,
l’uomo che nel 1927 sistematizzò la variante Regional della capoeira (l'altra
si chiama Angolana), facendola diventare disciplina tecnica. Nenel ha dato origine a questa scuola nel 1986, diventata
poi fondazione nel 1994, con nove affiliate a Bahia, e molte altre in tutto
il Brasile. Nero come il carbone. Robusto. Capelli lunghi, da rasta. Un basco
alla Che Guevara in testa, Nenel guarda gli altri esibirsi al suono del
berimbau - una sorta di scacciapensieri a forma di canna da pesca. A voce
bassa, racconta: «Provengo da una favela di Bahia ma ho avuto il privilegio
di nascere in una famiglia di capoeristi: grazie alla danza sono riuscito a
ottenere successo e girare il mondo. Ora cerco di fare in modo che questa
danza rappresenti il cammino per raggiungere la nostra libertà perché la vita
dei poveri in Brasile è davvero molto dura». Sa di essere una specie di icona, l'immagine vivente di
qualcuno che ce l'ha fatta ad uscire dalla miseria grazie alla lottadanza.
Quelle mosse feline e acrobatiche sono una forma di autoregolamentazione e
coordinazione fisica; sono un modo per imparare a convivere e a adeguarsi
alle mosse degli altri; ma soprattutto rappresentano una fonte di speranza
nel domani. «La capoeira – spiega Nenel – contenendo in sé e nei suoi
movimenti la forza di un popolo, la sua capacità di unirsi, di coordinarsi, è
speranza di vita. Inoltre: non è una forma espressiva esatta, è in continuo
sviluppo e ognuno ci mette la propria personalità. Per questo diventa un
ottimo strumento di miglioramento personale, di acculturazione e di
autorealizzazione». Riuscirebbe difficile parlare di capoeira senza aggiungere
questo particolare. Raccontare solo di salti, di musica Di più. Le accademie propongono anche momenti di
istruzione, di convivenza e rispetto. Oltre a lottadanzare, i bambini
imparano la musica, si formano una base fisica e hanno l’assistenza di alcuni
adulti che insegnano loro i primi principi di educazione sessuale e igiene
personale. Sono una specie di doposcuola sostenuto dalle iscrizioni, da
qualche risorsa pubblica, piccole donazioni, offerte durante le esibizioni di
strada, lezioni a pagamento a turisti. Alla scuola di Nenel c’è un gruppo di olandesi che prende
lezioni. C’è anche Lu, bahana mulatta, capelli nerissimi e occhi da india che
trasmettono luce energica. Ha venticinque anni e da quattro è separata dal
marito, precisamente da quando è nato Tauan Victor, un piccolo terremoto che
ha cresciuto assieme alla madre e al fratello. «Loro mi aiutano molto, ma non
abbiamo moltissimo tempo per seguire Tauan. Così, il pomeriggio, lo porterò
qui a fare capoeira. E troverà anche il modo di sfogare questa sua energia».
Conosce quel mondo, Lu. Dice di aver frequentato lei stessa una scuola di
capoeira, da piccola. E il figlio, non è piccolo a quattro anni? «No, si
comincia a questa età. Pensa che da quando gliel’ho detto mi sta distruggendo
la casa a forza di tirare calci». Mestre Nenel non è solo un lottadanzatore. E' anche un
musicista. L'ultimo suo cd si intitola: "Resistência". Quasi a
sottolineare come quella musica, quelle arti continuino ad essere una forma
di resistenza. Infatti aggiunge: «Oggi la politica è molto complicata: è
necessario trovare un modo alternativo per superare le barriere che
vorrebbero relegare alcune persone ai margini della vita sociale. La capoeira
è un cammino per raggiungere ognuno la propria libertà. Non sarà la salvezza
del mondo, ma offre un'opportunità dove ce ne sono poche altre». * * *
Più prosaicamente, mestre Boa Gente divide la sua vita tra
impegno in una radio locale (Radio Comunitaria che ha creato lui stesso nel
1969) e gli insegnamenti di capoeira. Ha sessanta anni e dà lezioni gratuite
a un centinaio di ragazzini dai quattro ai quindici anni nella sua casa a
Vale das Pedrinhas, sul confine tra i quartieri Rio Vermelho, Nordeste e
Amarldina. Dice: «Insegno loro un po’ tutto: capoeira, samba, danza afro e
anche le basi del teatro. Poi dipenderà dalla loro attitudine, scegliere ciò
che vogliono fare». I ragazzini sono contenti, e pure lui: «Io imparo
insegnando: uno di questi giovanotti, per esempio, mi sta insegnando a usare
il computer». E, ci si può scommettere, prima o poi imparerà. Come qualcuno di
questi allievi girerà per l’Europa con un sacco sulle spalle e dentro l’anima
la forza della capoeira. La mostrerà a tutto il resto del mondo con
l’orgoglio di sapere che la lottadanza tipica del suo popolo è diventata la
sua libertà. Scrivi
all’autore: mauriliobar@libero.it |
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