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BRASILE

I LIBRI di M.B.

 

SALVADOR DE BAHIA

«Sorria você está na Bahia»

Continua 4

 

 

Maurilio Barozzi

 

 

 

Le molte Bahia

 

Bahia è sole, samba, sesso e champagne.

E' gente allegra, palme, surf.

E' edifici a mille piani e catapecchie appena dietro l’angolo, discoteche di lusso e scopatoi da quattro soldi, belle ragazze e puttane infette, pittori e artisti che si mischiano a straccioni e spacciatori; ragazzini che raccolgono le lattine vuote (catadores de latas) che poi rivenderanno alle aziende di riciclaggio per due reais al chilo; bambini scalzi ma sorridenti e bambini scalzi con la pistola.

Quando arrivi, metti in conto e cerca di trovare la tua strada tra paradiso e inferno. Tra festa e funerale.

Riducendo all'osso, ci sono essenzialmente tre Salvador de Bahia.

La più umile – le favelas, sparse a macchia di leopardo nei circa 60 chilometri quadrati della città – abitata da poveri cristi cisposi che vivono in mezzo alle immondizie e al piscio dei cani. Se va bene campano fino a trent’anni, se va un po’ meglio crepano prima. Qui la polizia non entra e la legge è stabilita dai piccoli ras della zona: spacciatori e trafficanti vari. Di più non aggiungo: non mi ci sono mai addentrato.

La Salvador chic – zone residenziali (molte all’interno del quartiere di Piatã) – con strade intere blindate e chiuse. Per entrarci servono appuntamenti, permessi e lasciapassare. L’ho ottenuto, un paio di volte, per visitare un avvocato che conosco. Dentro: ville con piscina, Mercedes decappottabili, erbetta all’inglese curata da giardinieri negri, verdissime palme annaffiate da impianti irrigui sempre in funzione. E, affacciati alla finestra, ragazzi in camicia, bianchi; ragazze col cellulare all’orecchio, bianche; uomini con occhiali e i capelli pettinati ordinatamente, bianchi. Di sfuggita ho notato una negra alla finestra. Guardo bene: porta un grembiule celeste e ha il battipanni in mano.

Questi fighetti azzimati non frequentano la terza Bahia, quella di cui parliamo, quella conosciuta e pubblicizzata: Pelourinho e Mercato Modelo, capoeira e souvenir, mare, sesso, alcol. Ammesso che ti interessi, se vuoi incontrare la borghesia salvadoregna devi frequentare i locali d’elite. I migliori ristoranti: Galpão, Trapiche Adelaide, Santo Oficio. Lì troverai segaioli col portafogli gonfio, camicie eleganti, auto di lusso; e gli unici negri saranno i camerieri. Oppure qualche discoteca come il Café Cancun, all’Aeroclube, dove chiedono documenti all’ingresso e non ti fanno entrare con le scarpe da tennis. Ecco gli unici punti di contatto con la città che si permettono i ricchi, in licenza dalla loro vita blindata.

Più facile imbattersi nei poveracci.

Disperati brandelli di essere, ogni tanto sbucano dalle loro tane pidocchiose a caccia di una clausola di rescissione di quello sciagurato contratto con miseria-morte. Che per molti incarna l'aspetto di un turista senza nome né volto: un sacchettone di soldi con due gambette.

Bambini figli di nessuno che vivono per strada, sbucano fuori in branco a ogni ora della notte. Scendi dal taxi alle quattro del mattino e ti accerchiano in venti, alti un metro, ululando per un real. Poi filano scambiandosi una bottiglia di plastica. C'è della colla, dentro. Inalano, sniffano: lo sballo non Casella di testo:  Pittore al Pelourinhocosta un cazzo. Di giorno, eccoli in spiaggia: si muovono in piccoli gruppi, guardinghi, cercano due reais di elemosina. O cercano di fottere qualcosa a qualcuno. Capitani della spiaggia, li aveva battezzati in un celebre libro Jorge Amado. Poveri disgraziati, pare più appropriato. «Meninos de rua», me li indica una volta Pascoal, il padrone di una cabana da praia, uno dei bar che costeggiano le spiagge di Salvador de Bahia. «Non arriveranno a quindici anni. O muoiono di fame o si sparano tra loro o li ammazza la polizia». E considerato quanti sono, le statistiche sulla lunghezza media della vita ne risentono. Eccome.

Alcuni di questi ragazzini si salvano. E non sono quelli che questuano. Tanto è vero che il personale che, pagato dalla Emtursa (Empresa de turismo Salvador), orienta i turisti invita a non dare monete ai ragazzini. Simon: «Purtroppo la maggior parte delle volte quel denaro viene convertito in droga».

Si salvano quelli che trovano una loro strada.

 

Capoeira, Condomblé...

 

Mercato Modelo, città bassa. Un cerchio di musicisti circonda due giovanotti sudati che volteggiano a piedi scalzi e torso nudo. I musicisti suonano strani strumenti ritmici, e cantano. Al centro, i due fanno ruote acrobatiche lanciando in alto le gambe e lasciando che il busto segua, trainato dalla spinta. Sarebbe una lotta. Ma i lottatori non si toccano mai, nonostante con i piedi si sfiorino il volto l'un l'altro. A dispetto della grande velocità, tutto è sincronico. E negli occhi non alligna la freddezza della sfida, ma una attenta, scintillante complicità. L’inequivocabile indizio che i due stanno costruendo un’armonia comune. Una danza, insomma, con i movimenti dell’uno perfettamente adeguati a quelli dell’altro, aggraziati e accompagnati alla musica. E si pratica dappertutto, questa attività: spiagge, terreiros, piazzali periferici, ristoranti tipici. Si chiama capoeira.

Simbolo della cultura afro-brasiliana, la capoeira è giunta dall’Africa a bordo di navi negriere, unico bagaglio nel cuore di chi ha lasciato tutto oltre Atlantico per essere trasportato in catene a Bahia – città di schiavi, ancora oggi la più nera del Brasile.

In un quadro desolato, dove la povertà uccide, musica e capoeira sono le uniche scialuppe di salvataggio. Scuole specializzate, accademie, fondazioni: lavorano, insegnano, infondono stimoli capaci di mitridatizzare il curaro dell'autocommiserazione. Hanno la capacità di insinuare la tabe che corrode l'immobilismo da predestinazione.

Al numero 51 di rua Gregorio de Matos c’è la Escola de Capoeira “Filhos de Bimba”. L’ha fondata il maestro Nenel. E' uno che alla capoeira ha fatto fare il giro del mondo, con esibizioni e conferenze. E' uno che molti brasiliani vorrebbero imitare. E soprattutto è il figlio di mestre Bimba, l’uomo che nel 1927 sistematizzò la variante Regional della capoeira (l'altra si chiama Angolana), facendola diventare disciplina tecnica.

A voce bassa, racconta: «Provengo da una favela di Bahia ma ho avuto il privilegio di nascere in una famiglia di capoeristi: grazie alla danza sono riuscito a ottenere successo e girare il mondo. Ora cerco di fare in modo che questa danza rappresenti il cammino per raggiungere la nostra libertà perché la vita dei poveri in Brasile è davvero molto dura».

Raccontare solo di salti, di sudore e di berimbau – che col suo teng teng noi giudichiamo una palla – non significherebbe niente senza dire della molla che tiene la gente in vita: la fiducia nelle proprie forze, in quelle del proprio popolo, la speranza di libertà. Ecco, il lato più scintillante di quella medaglia è proprio costituito da tale aspetto. E infatti le scuole di capoeira non offrono solo insegnamenti tersicorei: sono un recupero delle tradizioni, la valorizzazione della storia di un popolo, la forza della memoria. «Il negro nacque per essere libero e la capoeira nacque al servizio del desiderio di libertà», sintetizza una insegna. Poi, qualcuno di questi ragazzi troverà lavoro proprio all’interno della scuola, facendo prima l’assistente e poi l’insegnante. Oppure addirittura il maestro che esporta questa disciplina in giro per il mondo.

C’è un’altra tessera del mosaico che va lucidata e ricordata: Bahia. Lontana dalla sua città, questa lottadanza mantiene il suo fascino esotico, ma perde cuore e anima. E Bahia è la patria del Candomblé, è il regno del magico. Così anche alla Capoeira si assegna un che di taumaturgico. «Portando l'agilità fino all'assurdo, [i praticanti] sono resi invincibili», scrisse Amado, che era comunista da due pugni chiusi, ma indulgeva costantemente alla forza degli Orixás, sincretando la filosofia materialista marxista con la magia. Del resto: a Bahia possono convivere il magico Candomblé con il cristianesimo di 365 chiese... In tale quadro, la vulgata aggiunge che, grazie alla forza sprigionata dalla capoeira, «un bambino che sembrava muto, partecipando a un Centro di Capoeira ha ritrovato il gusto per la vita e anche la parola tanto da diventare uno dei più vivaci del gruppo». Magia e miracoli, no?

 

... E il ritmo nel sangue

 

Comunque. A Bahia, nonostante il tasso di analfabetismo dica che un bahiano su 4 non sa leggere né scrivere (contro il 12,9% della media nazionale), e nonostante tutti ascoltino l’axe, il forró o il pagode santificando a star di prima grandezza cantanti come Ivete Sangalo e Daniela Mercury, non c’è uno che non conosca le canzoni impegnate di Caetano Veloso o di Gilberto Gil o di Tom Zé - dei tropicalistas - che verso la fine degli anni Sessanta furono cacciati in esilio perché indesiderati dal regime militare andato al potere in Brasile alla fine del 1968.

Una mulattina mi ha scritto un biglietto, una volta, passandomelo furtivamente mentre bevevo birra al banco di un bar. C’era scritto: «Debaixo dos caracóis dos seus cabelos uma historia pra contar de un mundo tão distante» (sotto ai boccoli dei tuoi capelli, c’è una storia da raccontare di un mondo tanto distante). Si riferiva Casella di testo:  
Si suona e si balla di domenica alla «Cantina da lua»
alla mia origine europea e ai miei capelli lunghi. Bella, ma purtroppo la frase non è sua, sono i versi di una canzone di Veloso. Forse non originale, certo più poetica del: «Mi fode, sou a sua gostosa» («Fottimi, sono la tua prelibatezza») che mi scrisse un'altra ragazza, senza tanti giri di parole

Sto divagando, torniamo alla musica.

Questa città pullula di musicisti.

Nel centro storico – specie il martedì, in occasione del Benção – tutti sono in strada per godere delle varie proposte dal vivo. La più prestigiosa riguarda gli Olodun, gruppo di un centinaio di musicisti che hanno un loro spazio apposito in rua Gregorio de Matos (Ensaio do Olodum) e che si esibiscono in tutto il Brasile, di volta in volta con formazioni diverse (mai tutti assieme, naturalmente). Ma in ogni buco trovi qualche cosa: tra bar do Reggae, Estação Pelô, e i vari ristoranti della Laranjeiras che fanno sempre suonare qualcuno, le occasioni non mancano. Poi, ci sono anche i locali specializzati: c’è il jazz club raffinato (French Quartier), il Bohemia bar, la Casquinha de Sirí, l’Abrolhos café, il Lobby bar, il Pedra da Sereia… Tutto questo senza parlare delle discoteche vere e proprie.

 

(4. Continuna)

 

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