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I LIBRI di M.B.

 

CRACOVIA

A Cracovia, visita blasé

 

Una città carica di storia, di leggende e di pub

 

 

 

Maurilio Barozzi

 

 

 

Casella di testo:  
Cracovia
Me ne sto seduto sul letto in un piccolo appartamento della Filarecka, quando K. torna dalla cucina con due birre. Le apriamo.

K. fa: - Ti piace la birra polacca?

- Altroché. Anche i pub.

- Già. Lo sai? E' proprio in questi pub che fu tenuto vivo il senso dell'essere polacchi. Anzi, si potrebbe dire che sono stati proprio loro lo strumento della sua salvezza.

- K., che stronzate vai dicendo? Non è che ti ubriachi ascoltando le mie cazzate alcolizzate?

Ride. - Sei un'idiota.

- Ah, beh...

- No, dico davvero. Devi sapere che fino a quando la Polonia faceva parte dell'impero Austro-ungarico, cioè fino alla Prima guerra, in polacco si poteva parlare solo nelle cantine. Quelle che adesso sono diventate i pub che hai visto.

- E ne ho visti tanti. Anche oggi, quando me la sono filata dalla conferenza che tenevi alla camera di commercio. Ne ho visto uno davvero bello...

- Sei incorreggibile...

- No, K., giuro. Aveva le sedie come la bocca di Salvador Dalì. Hai presente, quella che c'è a Figueres?

- Ho capito, sei stato allo Szuflada.

- Boh, un bel posto con le sedie strane, tipo quelle di Arancia meccanica. E con dei cocktail niente male.

- Sì, è lo Szuflada. Carino, ma domani ti porto al Singer, nel Kazimierez...

- Kazimierez? Roba di giudei?

- È il quartiere ebreo. Spielberg ci ha girato Schindler’s List...

Faccio spallucce. - Per fortuna ci sono molti bar, oltre che chiese e il quartiere giudeo...

- Sei sempre cinico, vedo - dice ridendo. E aggiunge: - Sai perché è pieno di chiese?

- Perché è pieno di cristiani.

- Che razza di...

- Ma mi sembra che la pratica cattolica... - Le verso un goccio di birra sulle tette bianche.

- Dai, non bagnare il letto.

- L'ho già bagnato, non so se mi spiego.

- Te l'ho fatto bagnare io, NON SO SE MI SPIEGO.

- Ti spieghi, ti spieghi... Mi dicevi dei cristiani.

- Durante l'inquisizione tutti venivano in Polonia ospitati da Casimiro il Grande. E Cracovia, allora, era la capitale.

- Streghe, streghe!

- Come fai a saperlo?

- So tutto, io - mento orrendamente, omettendo di dirle che la storia delle streghe l'ho letta su un opuscoletto al bar.

- Allora spiegamela tu.

- Ufff, permalosa. So solo che non cacciavano le streghe, qui. Sennò tu non ci saresti.

- Ah ah ah, fottiti. E poi non è proprio così. Le streghe le cacciavano, ma non le uccidevano. E anche le fedifraghe erano tollerate: venivano messe alla berlina per 24 ore, ma poi erano liberate.

- K., tu hai radici di strega, fedifraga e cattolica. Ecco perché sei così celestialmente porca.

Appoggio la birra per terra e ricomincio a leccarle l'ombelico.

Lei ridacchia. - Ora datti da fare. Che quella del trombettiere te la racconto domani.

- Intanto il trombettiere devo farlo io, eh?

Non risponde. Mi prende per i capelli, mi solleva e mi bacia.

Non è male stare a letto con una intellettuale. Specialmente se ha il fuoco al culo come K., intendo.

 

La generosità dei polacchi

 

Beh, l'altro giorno ad Auschwitz ci sono andato con un taxista che parla un po' anche italiano. Quello ha portato pure la moglie e assieme continuavano a scassarmi la minchia con la storia di quanti anni ho. Io un po' mi diverto anche, ma dopo - quando si insiste - mi rompo. E così non gliel'ho detto per tigna.

Allora il taxista, che si chiama Lucjan, ha iniziato a parlarmi delle case che stavamo vedendo lungo la strada, nella neve.

- Andavano a guadagnare i soldi in Germania o in Italia, e poi tornavano e costruivano - dice, facendo il segno dei soldi con le dita.

Mentre parla, lancia l'auto e mette la marcia in folle. Fa: - E' per risparmiare benzina.

Ma vah?, sai che non l'avevo capito?

Poi tira fuori che quando c'era il comunismo con un dollaro comperava tre vodka e ora ne servono sei per comperarne una. Che palle... Tanto è inutile che vada avanti con questa storia: soldi di mancia non gliene mollo neanche morto. E basta.

Nel ritorno, alla fine della visita ad Auschwitz che lui non ha fatto, stando ad aspettarmi fuori con la moglie, riattacca il pistolotto. Stavolta parla di Mussolini. Il tema non è dei miei preferiti, e gli dico secco che ho sonno e vorrei dormicchiare. Allora tace fino all'arrivo. Che cazzo, grazie al cielo.

Il fatto è che oggi me lo sono ritrovato alla portineria dell'albergo. Voleva portarmi a fare un giretto. Voleva farmi vedere una cosa di sale, ma non ho ben capito cosa. L'ho mandato affanculo senza tante cerimonie. Anche perché preferisco andare a correre sulla Vistola. Adoro correre nel freddo.

Casella di testo:  
Il Wawel (Cracovia)
Corro vicino al Wawel, costeggiando il fiume su una banchina d'asfalto affollata da cani, donne, uomini, bambini e palloncini. Quando passo, tutti si spostano, facendomi spazio. Così mi viene in mente la storia del contadino che mi hanno raccontato K. e una sua amica - E. - ieri sera, mentre cenavamo allo Chlopskie Jadlo, un locale tipico polacco (corro per smaltire, essenzialmente).

La faccenda è venuta fuori per parlare della generosità dei polacchi, che a me sembra una stronzata, ma loro ci tengono.

A farla corta: c'è 'sto contadino che vuole sposare una bella principessa. Lei però è stata trasformata in anatra. Il contadino dovrà innanzitutto farla tornare alle sue sembianze umane. Ma per riuscire in questo compito deve spendere solo per se stesso tutto il denaro, l'oro e l'argento che lei gli offre. Lui ci prova. Ma quando sta per esaurire il denaro, il frescone si intenerisce e fa la carità ad un mendicante sulla strada. E così non può sposare la principessa. Ma, ovviamente (chissà perché queste stupide fiabe finiscono sempre bene, persino i Grimm le facevano finire bene), incontrerà una contadinella e sposerà quella, vivendo felice. Ma povero. Bella cazzata, ne so qualche cosa.

Sta di fatto che mentre corro e tutti mi fanno passare penso: forse sono davvero generosi, i polacchi. Guardo l'orologio e penso che ho appuntamento con K. ed E. Al centro, al bar Jama Michalika. Devo girarmi e tornare all'albergo. Mica posso farle aspettare, no?

 

Ultimo giorno a Cracovia

 

Allo Jama Michalika, il caffé letterario di Cracovia, c’è uno spettacolo di cabaret coi burattini.

Io continuo a sbadigliare. Così K. e E. mi raccontano la storia di Boj Zeleriski. Lui era uno studente che, dopo essere stato a Parigi, ha tradotto in polacco tutti gli autori francesi - dalla Chanson de geste fino a Zola - e ha inventato il cabaret di Jama Michalika.

- Fa molto divertire ancora oggi - dice K. E mi indica la gente che applaude.

Naturalmente io non capisco un cazzo di polacco e dunque non rido mai. Anche se le due ragazze mi spiegano: i burattini sul palco raffigurano dei politici attuali.

Mah... Non rido lo stesso.

Provo a farmi raccontare quella del trombettiere sulla quale K. l’altro giorno ha glissato, impegnata in attività alternative. La conosce bene, quella storiella, perché ci ha scritto su un bel racconto che doveva essere pubblicato in italiano per un editore importante. Poi quello le ha tirato un pacco e così lo scritto è restato in Polonia.

Allora: premessa. Se uno viene a Cracovia ogni ora sente trombettare questa lagna mariana (Hejnal Mariacki, appunto) dalla torre maggiore della Kosciól Mariacki, che sarebbe poi la chiesa di Santa Maria, nella piazza del mercato (Rynek Glówny). E la lagna viene, tutte le volte (24 al giorno), interrotta bruscamente.

Ecco, il motivo di questa cesoiata è la storiella del trombettiere che, vedendo arrivare i tartari all’attacco della città, iniziò a suonare l’allarme ma venne trafitto da una freccia degli assalitori. Parliamo del 1241, grosso modo. Poi i tartari si presero anche la città e se la tennero per una quarantina d’anni a ondate successive. Quella lagna sarebbe il ricordo del trombettiere trafitto.

Ma veniamo a cose più interessanti.

Dopo la serata allo Jama e, soprattutto, nei sotterranei del Jazz Rock Café - dove io ho dato spettacolo bevendo birra Zywiec e vodka Polonaise a non finire - con K. e E. ce ne torniamo a casa tutti e tre. Beh, meglio spiegare la faccenda.

Diciamo che la serata non l’ho ravvivata da solo.

K. e E. si sono scolate in due una bottiglia di whisky d’importazione (che, tra parentesi, visto che ho voluto fare il figo e pagare io, mi è pure costato una fortuna). Poi hanno voluto cantare e così hanno raccontato al tipo che suonava nel locale che io ero un imprenditore a caccia di talenti musicali da far venire a suonare in Italia. Ovviamente ho tenuto su il bordone - che cazzo!, volevo pur vedere dove si finiva.

E si è finiti con quelle due svitate sul palco a cantare la Garota de Ipanema in inglese, accompagnate dai musicisti. Con tutti che ridevano perché vedevano che nessuna delle due stava in piedi.

Poi, il bello. O il brutto.

Siccome volevano che cantassi anch’io, ho mandato tutti affanculo. Ma le due insistevano, e anche i musicisti (che, con la scusa dell'impresario, mi hanno scroccato da bere a loro volta) e anche gli avventori.

Allora mi sono proprio scassato il cazzo.

Sono salito sul palco, ho preso il microfono: - L’avete voluta? Ecco qui.

E mi sono messo a cantare Volare a tutta voce.

I musici tentavano di stare dietro alla mia intonazione variabile, ma più che altro ridevano. Poi ha iniziato a venirmi dietro tutto il bar ed è arrivato il proprietario a chiedermi di smettere. In inglese, per l’occasione.

Ho fatto un inchino e ho pagato il conto. Una dolorosa di livello, stracazzo.

Ecco, stiamo tornando a casa assieme, tutti e tre, quando propongo a K. che E. si fermi da noi.

- Inutile che fai tutta quella strada da sola - ho spiegato, galante.

Loro continuano a ridere.

E. fa: - Sono sposata.

K.: - Tuo marito non è in Germania?

E.: - Sì, ma...

Io: - Echecazzo, resta qui, no?

E giù a ridere.

Camminiamo nel freddo della Florianska, illuminata e affollata nonostante sia mezzanotte passata. Da un androne salta fuori un vecchio senza una gamba con un capotto e una sciarpa bordeaux che suona il violino. Diavolo, suona il violino sopra la sciarpa, chissà come fa...

- Non è ancora morto? - dice E., rivolta a K.

Ridono ancora.

Deduco che dev’essere parte dell’arredo cittadino, il tipo. Nonostante sia Natale, la carità se la può anche sognare, sono già sotto abbastanza, nel bilancio.

Prendiamo un taxi e in un battibaleno arriviamo a casa di K.

E. viene su con noi.

Beviamo ancora qualche cosa sul divano e poi, con la scusa che siamo ubriachi, do un bacetto a E. Poi accarezzo una gamba a K.

Loro continuano a ridere e la cosina a tre di cui avevo vagamente tracciato un progettino, sembra cosa fatta. Anzi è cosa fatta. Però... Già, c’è un però.

Il problema del sesso a tre è che, se non ci sono professionisti di mezzo, prima o poi qualcuno si rompe le palle.

Io, tra le due, mi concentro più su E.. Ma non per particolari motivi, solo perché in quel momento, nudi sul divano, lei è una novità. E. dice qualche parola che non capisco e K. si mette a ridere. Probabilmente mi sfottono, ma me ne frego. Procedo mantenendo il mio interesse su E.

Di punto in bianco K. si alza e se ne va nell’altra stanza.

Non dico niente, non cerco nemmeno di fermarla e continuo con E. Lo so, è da maleducati, considerando che dormivo da lei... Ma cosa posso farci?

Poi mi viene uno scrupolo. Mollo E. E vado nella stanza di K.

Lei, appena mi vede entrare, si volta dall’altra.

- Eddai, non fare l’offesa.

- Fottiti.

- Ma che cazzo, stavamo lì...

- STAVATE lì! Io vi stavo guardando.

- Beh, adesso guarderà lei.

- Non ci provare.

- Dai, K., domani ho l'aereo per l'Italia...

- Buon viaggio!

Insomma, non ci sono stati santi.

Sono dovuto tornare di là, sul divano, dove E. si era già addormentata. E dopo avere avuto due donne che mi prestavano attenzioni, mi sono ritrovato a rimanere solo come un pirla. Non che sia una novità, però nell’occasione ho pensato che il detto "melius abundare quam deficere" possa anche essere una vera cazzata. Poi mi sono addormentato.

 

 

 

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