Maurilio Barozzi
Giba, il leone del parquet
giovedì 19 aprile 2007
TRENTO - È una cosa strana sentire quattromila persone che stanno mute. Gli occhi fissi su un pallone che sale altissimo nella metà campo dell’Itas. Certo, il momento è topico, è match point per Cuneo al quinto set dopo una maratona estenuante che non ha risparmiato nessuno degli atleti in campo. Comunque, silenzio su quel pallone altissimo. Un silenzio carico d’attesa. Per tutti, trentini e cuneesi, tutti. Poi a quattro metri d’altezza, la mano di Nascimento gli rifila uno schiaffo e fa partire un missile a oltre cento all’ora. Nemmeno il tempo di sentire la botta dello schiaffo che la palla è già sulle mani di Omrcen e in un baleno è già a terra. Tu-tum e le speranze dell’Itas di passare il quarto di finale contro quella Cuneo che aveva vinto la stagione regolare se ne vanno a carte quarantotto. I dieci - dieci, di età media cinquant’anni - tifosi di Cuneo esplodono. I trentini ammutoliscono un minuto, ma solo uno. Poi un applauso liberatorio a salutare una delle più belle partite che si siano viste quest’anno. Di sicuro la più bella di questi quarti di finale. Peccato, dicono. Ma lo sport è esattamente questo: uno vince e uno perde. E l’essere sportivi significa solo una cosa: saperlo accettare.
Comunque nulla è perduto: domenica a Cuneo ci sarà la bella e il messaggio che questo incontro ha mandato è chiaro: se Cuneo non giocherà al massimo, Trento sarà pronta per castigarla. Punto.
Ma che spettacolo, questa partita.
Ah, a proposito, questa la voglio proprio dire: una volta un amico mi diceva, con formula poco elegante, che il volley è uno sport da fighette. Beh, ora posso dirlo con certezza: in uno sport in cui volano missili a 120 all’ora si potrà dire di tutto ma da fighette proprio non direi.
Voltiamo pagina, ma neanche del tutto.
Parliamo di Giba. Giba è un leone. Anzi è “il” leone, nonostante a guardare le sue statistiche qualcuno potrebbe anche pensare che il suo incontro non sia stato eccezionale. Nello sport esiste un fattore che travalica il numero dei punti fatti e di quelli sbagliati. La grinta e la capacità di infonderla. Beh, questo qui di grinta ne ha da vendere. È lui che chiama i compagni, li incita, li riprende, chiama gli schemi, recupera palloni e lui stesso cerca poi di finalizzarli. Tira sempre forte la battuta senza paura di sbagliare, senza pensare che il braccio - a forza di martellare - potrebbe anche fare male. Niente, lui va avanti, è il leone. E i suoi compagni, tutti di levatura altissima e di esperienza, ascoltano. Si potrebbe dire: ubbidiscono, se non risultasse offensivo.
Ora ne racconterò un’altra e poi procediamo. Qualche anno fa Giba arrivò in Italia e andò a giocare a Ferrara. Lì per anni si disse che sì, il ragazzo ha dei numeri, però s’impegna poco, inganna il tempo andando a donne e in giro per pub. Poi ha fatto vincere le Olimpiadi al Brasile (proprio contro l’Italia) e la musica è cambiata. I Soloni hanno chiuso il becco e per fortuna: vistolo giocare, sembrerebbe proprio che quella cura - ammesso che l’abbia effettivamente fatta - sia miracolosa. Mi si dica nome del locale ferrarese e delle signorine, per favore, che di quella cura ne ho bisogno anch’io. Ma non vorrei divagare.
Dicevamo del leone.
Cuneo lo adora: ogni volta che va in battuta gli cantano «Giba facci un ace è la curva che lo chiede». Trento - sportivamente - lo odia: ogni volta che va in battuta fischia che il palazzetto sembra che caschi. Dico sportivamente perché, finita la partita sono stati moltissimi ad andare in campo a salutarlo, proprio lui e solo lui: Godoy Filho Gilberto Amauri detto Giba. Che hanno visto far vincere le olimpiadi al Brasile e che ora vedono ruggire sul parquet trentino.
Poi, si dice che il volley sia fatto di statistiche. Ed è vero: determinanti per il risultato finale sono state le percentuali degli attacchi di Wijsmans (per Cuneo) e Nascimento (per Trento); i muri di Omrcen (Cuneo) e di Hübner (Trento) , le invenzioni di Coscione (Cuneo) e di Meoni (Trento), e le azioni di tutti gli altri, comprese le azzeccate o meno scelte tattiche degli allenatori e tutte queste robe qui. Verissimo.
Ma quando gli automatismi vengono meno, quando la freschezza atletica comincia ad aprire qualche falla, quando si profila un vuoto tattico: allora arriva il dux, il leader carismatico. Il re della foresta. Comanda lui. E di solito vince.
Maurilio Barozzi
L’Adige, 19 aprile 2007
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